La plasticità cerebrale o neuroplasticità

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Non ci è mai stato detto in questi termini, eppure noi esseri umani possediamo in super potere incredibile: la capacità di modificare e plasmare il cervello tramite l’esperienza. Si tratta di un’abilità che, se sfruttata in modo appropriato, ci dà la possibilità di apprendere una gamma infinità di nozioni, ci consente di adattarci a tutto ciò che l’ambiente offre e ci permette anche di riprenderci nei casi in cui abbiamo subito traumi o lesioni. Purtroppo però, sono ancora davvero poche le occasioni in si sente parlare di quella che in termini tecnici viene definita neuroplasticità o plasticità cerebrale.

Per questo appuntamento con la rubrica #AsktheGrls ho deciso di parlare di plasticità perché ritengo fondamentale creare consapevolezza e conoscenza attorno a questo tema così poco conosciuto. Grazie alla neuroplasticità infatti, noi esseri umani siamo in grado di riadattarci continuamente agli stimoli che l’ambiente esterno ci propone, e questo non solo durante l’età dello sviluppo come ci hanno sempre detto, ma anche nell’età adulta!

Quante volte ci è stato detto “se non impari una lingua da bambino poi non sarai più in grado di impararla allo stesso modo!”. Vero, in parte. L’apprendimento è un processo a cui il nostro cervello va incontro durante l’intero arco di vita ma in particolar modo durante gli anni della nostra infanzia ed adolescenza.

Prima di parlare di apprendimento però, è opportuno fare una breve panoramica su quelli che sono i meccanismi di rimodulazione delle componenti sinaptiche a cui il cervello va incontro dal concepimento fino ai 20 anni circa. 

Le diverse fasi 

Questo fenomeno attraversa diverse fasi, durante ognuna delle quali si verificano meccanismi diversi: durante la gravidanza, e quindi durante la fase di embriogenesi, si va incontro a quella che viene chiamata sinaptogenesi, ossia la costituzione vera e propria delle connessioni sinaptiche tra neuroni. Quando veniamo al mondo possediamo un numero elevatissimo di sinapsi, che andranno però sfoltendosi nella fase che va dalla prima infanzia all’inizio della pubertà e che prende il nome di pruning. Questo meccanismo di eliminazione spontanea dei neuroni si verifica per più ragioni, tra cui, ad esempio, migliorare le capacità di “networking” del cervello e migliorare le funzioni cerebrali per efficientizzarle. 

Una volta realizzata questa sfoltitura, il cervello andrà stabilizzando le sue connessioni e le renderà sempre più efficienti per svolgere le funzioni che dobbiamo saper svolgere per vivere.

Questa “sfoltitura” avviene soprattutto grazie ai diversi processi di apprendimento a cui andiamo incontro durante gli anni della scuola, che ci aiutano, appunto, ad efficientizzare le funzioni cerebrali. È stato però dimostrato negli ultimi anni, che la capacità plastica del nostro cervello permane durante tutto l’intero arco di vita e che ciò che cambia è solo lo sforzo richiesto per far sì che si verifichino le suddette modifiche strutturali e funzionali.

Il premio Nobel nel 2000

La plasticità cerebrale è un fenomeno di cui si è venuti a conoscenza solo dal 2000, anno in cui Eric Kandel, Arvid Carlsson e Paul Greengard vinsero il premio Nobel per la medicina con le loro scoperte riguardanti i segnali di trasduzione del sistema nervoso. 

Il meccanismo alla base della plasticità cerebrale non prevede la formazione di nuovi neuroni ma piuttosto la creazione e la nascita di nuove connessioni tra neuroni esistenti. Queste nuove connessioni hanno luogo in seguito ad una stimolazione prolungata dei neuroni interessati e possono anche andare incontro ad un processo inverso se la stimolazione cessa di esservi.

L’esempio del bilinguismo

Questo meccanismo può essere spiegato facendo l’esempio di quando vengono apprese lingue straniere.

Quando apprendiamo un nuovo idioma, le aree cerebrali coinvolte nell’apprendimento del nuovo lessico e delle nuove regole grammaticali subiscono delle modifiche sia in termini di connettività sia di conseguente struttura. Nel momento in cui noi cessiamo di stimolare queste nuove connessioni tramite, ad esempio, l’esercitazione di quella nuova lingua, le terminazioni sinaptiche andranno pian piano ritirandosi e quella che era la nuova connessione stabilita, non esisterà più.

Questo meccanismo è stato approfondito ed osservato da numerosi gruppi di ricercatori tramite studi di neuroimaging proprio per dare una spiegazione osservabile a quello che accade dentro il nostro cervello quando impariamo e disimpariamo una nuova lingua. 

La riserva cognitiva, l’invecchiamento

Per questo motivo è fondamentale tenere sempre il nostro cervello allenato, senza mai smettere di stimolarlo con compiti, richieste, sfide e novità. Lui ci ripagherà attraverso quella che viene chiamata “riserva cognitiva” che sarà una sorta di bagaglio cognitivo che ci porteremo dietro fino alla vecchiaia e che ci permetterà di possedere per un tempo maggiore l’autonomia necessaria a vivere ma soprattutto ci aiuterà a proteggerci da tutte quelle malattie neurodegenerative che provocano un invecchiamento precoce.

La plasticità e la psicoterapia

Last, but not least, è importante sapere che anche il principio di ristrutturazione cognitiva che vi è alla base della psicoterapia ad orientamento cognitivo comportamentale sfrutta proprio i principi e le dinamiche della plasticità cerebrale, il che fornisce una ragione in più per fare affidamento sia alla nostra capacità intrinseca di modificazione plastica degli schemi interni che riproponiamo nel nostro funzionamento quotidiano che al potere che la psicoterapia ha di aiutarci a modificare le nostre credenze o i nostri comportamenti disfunzionali.