Le misure del Pnrr sull’occupazione femminile sono sufficienti per colmare il gender gap?
Sono tanti i nodi da sciogliere per eliminare i grandi squilibri di genere nel mondo del lavoro. Quelle maglie strette che fanno sì che in Italia solo una donna su due (nel Sud Italia una su quattro) sia occupata.
Ci sono molte proposte, in parte tratteggiate anche nel Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), per colmare il gender gap, ma ci sono anche diverse trappole. Lo sanno bene le donne per cui studiare, lavorare o farsi una famiglia è sempre un percorso a ostacoli: fin troppo spesso il lavoro offerto è sotto il livello di istruzione raggiunto, il contratto proposto a tempo o part-time è involontario e lo stipendio – a parità di impegno – per 3 qualifiche su 5 è più basso dei colleghi maschi, o senza benefit.
Cosa prevede il PNRR per le donne
Nel nuovo piano di ripresa e resilienza sembra esserci “tanto rosa”: tante voci che non sono raggruppate in un’unica missione, ma sono sparse nei sei obiettivi fondanti. Però, per favorire l’occupazione femminile, non c’è nessun riferimento a un piano di assunzione nel settore dei servizi che, per tradizione, occupa principalmente donne.
E così, anche questa volta, sembra che l’impegno del governo non sia sufficiente a creare nuova forza lavoro, ma anzi, sembra che punti ancora sul mattone, con la costruzione di nuove strutture per l’infanzia.
Gli asili nido
Un grandissimo tema, affrontato nel piano di ripartenza, è quello degli asili, considerati uno strumento essenziale per ridurre le diseguaglianze non soltanto di genere, ma anche educative, oltre che per favorire l’occupabilità delle madri. Scuole della prima infanzia utili, in ultima analisi, per cercare di contrastare la denatalità, in aumento anche a causa delle diverse difficoltà nella gestione del work-life balance. Difficoltà che fin troppo spesso sfociano in un vero e proprio conflitto interiore per quelle donne che, ancora oggi, si trovano a dover scegliere tra la famiglia e la carriera.
Se il precedente piano Colao – durante il governo Conte – prevedeva un’azione nazionale per lo sviluppo di nidi pubblici e privati (0-3 anni) destinata al 60% dell’utenza totale, nel piano di Draghi gli investimenti per quanto riguarda l’edilizia scolastica vengono ridimensionati a circa la metà, ma saranno inseriti bonus o “voucher” a sostegno delle famiglie per il pagamento delle rette.
Analizzando nel dettaglio questa iniziativa, infatti, si capisce subito che non si parla di occupazione: nel piano dell’attuale esecutivo, alla voce “asili” si intende edifici di mattoni e non personale da assumere.
È proprio l’economista Annamaria Simonazzi a chiarire che i soldi del Next Generation Eu possono essere impiegati solo in investimenti infrastrutturali in conto capitale.
A tratti sembra quindi una «operazione di pinkwashing», ha dichiarato Susanna Camusso, ex leader della Cgil, infastidita dal clamore delle misure del Pnrr in rapporto a quanto davvero può essere realizzato.
C’è da ricordare anche che l’asilo è un “bene” necessario per ogni famiglia con figli, ma non è l’unica questione: secondo il XIX rapporto annuale condotto dall’Inps in materia di emergenza e rilancio, solo il 21% dei congedi parentali viene richiesto dai padri, a fronte del 79% di quelli richiesti dalle madri.
Durante il lockdown, poi, il report ci mostra che il 60% delle donne si è presa cura dei figli, e – anche per questo motivo – una donna su due si è trovata costretta ad abbandonare il posto di lavoro che, per il 53% delle donne italiane, si perde proprio a causa della nascita del primo figlio.
Il tema dell’istruzione
Nel Pnrr si insiste molto sull’orientamento precoce delle ragazze verso studi più produttivi in termini di risposta occupazionale, e verso settori più innovativi come il digitale e l’ecosostenibilità, fino a ora ad appannaggio solo maschile.
Per questo motivo, a cominciare dai primi gradi di istruzione, si cercheranno di combattere gli stereotipi di genere con libri di testo che hanno l’obiettivo di proporre un’educazione culturale diversa – basti pensare che le donne nate negli anni ‘90 sono cresciute con la favola di Cenerentola e del Principe Azzurro e solo nel 2012 la Disney ha prodotto un cartone animato dove la protagonista, Rebel, si salva da sola.
Anche un buon orientamento universitario è un tema fondamentale sollevato nel Pnrr, perché le donne devono avere tutte le possibilità di accedere a settori scientifici e non solo umanistici.
Del resto, secondo un rapporto sul gender gap stilato da Almalaurea e relativo al 2020 (link), si è visto che le laureate sono in numero maggiore rispetto ai laureati, ma rifuggono le discipline Stem (scienze, tecnologie, matematica e fisica).
Il Pnrr come punto di partenza
“Il Pnrr non è un punto di arrivo, ma di partenza”, ha tenuto a specificare, in diverse interviste, Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al ministero dell’Economia nel governo Draghi, per rispondere alle critiche dei giornalisti e delle colleghe.
Anche la ministra Elena Bonetti, responsabile del ministero per le Pari opportunità, si affretta a dire che la certificazione di gender equality è un progetto sperimentale (finanziato con 10 milioni di euro) di cui vedremo i reali effetti da qui ai prossimi 5 anni.
Al governo quindi serve tempo. Tempo per mettere in pratica diverse proposte che possano davvero andare incontro alle donne, senza limitarsi a qualche “spruzzata di rosa”, come sembra suggerire la già citata Susanna Camusso.
Non dimentichiamo, comunque, che già da anni esiste il Codice delle pari opportunità, il quale stabilisce che la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione. Lo stesso Codice vieta anche, in fase di colloquio, di fare delle domande inerenti alla sfera personale.
È importante ricordarlo perché 3 donne su 5, almeno una volta nella vita, si sono sentite chiedere durante un colloquio di lavoro: “Hai figli? Sei sposata? Riusciresti a sacrificare la famiglia nelle ore dedicate al lavoro? Ricordiamoci anche che, come recita un noto slogan, i diritti delle persone non si meritano, né si concedono: si riconoscono.